1^ ASSEMBLEA NAZIONALE AUTOCONVOCATA

DEI LAVORATORI E DELEGATI R.S.U. DI AAMS, ETI, ATI, FILTRATI

ROMA, 27 MAGGIO 2000

Relazione introduttiva.

La privatizzazione dei Monopoli di Stato e delle società controllate sta avvenendo – per quanto riguarda i lavoratori - nel modo peggiore tra tutti quelli che nel corso degli ultimi quindici anni sono stati via via prospettati.

Venute meno tutte le "garanzie" (vere o presunte) offerte ai lavoratori nei tentativi precedenti (il diritto di opzione, il mantenimento della maggioranza delle azioni in mano pubblica, la possibilità di ritorno verso la P.A., ecc.), stanno ora passando sulla testa dei lavoratori un gran numero di decisioni, sia unilaterali che frutto di accordi, che fino a pochi anni fa pochi avrebbero immaginato, nel quadro attuale e generale di una crisi dell’economia che le imprese e i governi tentano (e inutilmente) di arginare con la sempre maggiore riduzione del costo del lavoro, la ricerca spasmodica di profitti da privatizzare e di perdite da collettivizzare, finanziate queste con l’aumento delle imposte, soprattutto indirette.

Attraverso l’esame delle varie situazioni che compongono il variegato sistema, vorremmo mostrare come tutti i lavoratori coinvolti dal processo di ristrutturazione si trovano attualmente davanti alla terribile prospettiva di poter perdere il proprio posto di lavoro o di vederne comunque – qualora lo mantenessero, ma per motivi in generale indipendenti dalla propria volontà – enormemente peggiorate le condizioni.

E bisogna anche prendere atto dell’impossibilità individuale di arginare il pericolo, neppure barattando ulteriore sfruttamento e disponibilità, come ben possono testimoniare tutti coloro (sia impiegati che dirigenti) che, desiderosi all’inizio di sperimentare i "benefici" del lavoro privato e di "veder finalmente riconosciuta ed apprezzata la propria professionalità" (come recitava la propaganda di allora), si sono battuti per confluire nel nuovo Ente pubblico ed ora, pentiti, tentano in tutti i modi di tornare indietro.

Ne segue, come corollario, che ai lavoratori, a tutti i lavoratori, indipendentemente dalle singole realtà, non rimane che la prospettiva dell’azione comune per tentare di difendere i residui diritti ed arginare lo strapotere della controparte.

Il D.P.R. della nuova organizzazione AAMS e l'attribuzione delle competenze residue dell'AAMS alle Agenzie del Ministero delle Finanze. Gli statuti delle Agenzie. Il decreto legislativo n° 300/1999 e i regolamenti di attuazione.

Sulla G.U. dell'11/5/2000 è stato finalmente pubblicato il D.P.R. che formalizza la nuova A.A.M.S. dopo la perdita delle attività produttive e commerciali trasferite all'E.T.I..

Tale D.P.R. era passato la settimana prima di Natale '99, in gran fretta, in entrambe le commissioni finanze, di Camera e Senato, e la sua pubblicazione sembrava imminente. Il Governo, in quell'occasione, aveva dichiarato che l'AAMS sarebbe rimasta, e il sottosegretario Vigevani aveva precisato fino alla conclusione del processo di ristrutturazione del Ministero delle Finanze. Poi il desiderio di Visco di trasferirsi a P.zza Mastai, previa ristrutturazione completa della sede (costo 30 miliardi a carico dei Monopoli, con lavori già assegnati al Provveditorato regionale alle opere pubbliche) aveva affrettato l'inserimento dei Monopoli nella ristrutturazione delle Finanze, con l'attribuzione (o meglio la spartizione) delle attività superstiti dell'AAMS nelle competenze delle 4 Agenzie delle Finanze, come da bozza di statuti del febbraio 2000.

Ora, col superamento delle resistenze della Corte dei Conti circa la mancata copertura finanziaria (ricorderete che le uniche voci di spesa previste dal d.l.vo 283/98 erano gli stipendi dei 4 commissari, mentre i 1.200 stipendi attuali dell'AAMS gravano sul Tesoro), è avvenuta la pubblicazione del D.P.R., ma non c'è stata la contemporanea restituzione da parte delle Agenzie delle competenze che golosamente si erano "pappate". A Piazza Mastai arriverà a giorni il nuovo Ministro, Del Turco, ma con solo 120 persone (parte del Gabinetto, dell'ufficio politico, l'ufficio stampa) anziché le 1200 annunciate da Visco. Verranno sgomberati il primo piano, il piano rialzato e l’edificio storico; gli impiegati presenti già hanno cominciato a trasferirsi ai piani superiori, addensati ai colleghi che già vi si trovano.

Cosa vuol dire questo?

La maggioranza RSU della DG, ispirata da Cutrupi, ha invitato i lavoratori a non frapporre ostacoli, suggerendo che una immagine di efficienza e di piena collaborazione indurrà il neo-ministro a graziare i Monopoli e a concedergli un altro periodo di vita.

Noi non siamo d'accordo. Questa dei 120 potrebbe essere solo la prima ondata, l'insediamento di una testa di ponte, la linea dei piccoli passi preferita all'attacco frontale cha aveva indisposto anche gli abitanti di Trastevere preoccupati dell'intasamento del quartiere. Tant'è che lo stesso Cutrupi, che si sposterà per ora al 2° piano, ha in programma l’occupazione di parte del 5° piano, con lavori che prevedono anche lo spostamento del bar, per evitare che futuri arrivi lo costringano a bruschi e più scomodi traslochi.

Sperare che le Agenzie restituiscano il maltolto è utopia. Le Agenzie, enti pubblici, ma governati da manager soggetti solo ai vincoli di bilancio, all'interno dell'appannaggio annuale ricevuto dal Ministero, non rinunceranno ad importanti funzioni, per le quali il Ministero erogherà (ecco una parte dei danni per l'erario, risultato dell'operazione privatizzazione Monopoli) lauti compensi.

Gli organici delle Agenzie saranno determinati con decreto del ministro avente la forma di regolamento. È piena la delegificazione sulla materia, con il sistema delle deleghe in cascata: legge Bassanini (prorogata di validità innumerevoli volte), decreto legislativo, decreto ministeriale, atti amministrativi di esecuzione e alla fine migliaia e migliaia di lavoratori pubblici si ritroveranno privati (nella migliore delle ipotesi) o in esubero senza nemmeno sapere chi esattamente ringraziare per questo regalo.

Il decreto legislativo n° 300/1999 prevede che i lavoratori addetti alle attività trasferite alle Agenzie vengano posti in un ruolo presso il Ministero, dal quale attingeranno le Agenzie secondo le necessità di ciascuna. Nulla viene detto per coloro che non verranno "scelti" da nessuna Agenzia.

Per il meccanismo di finanziamento, a budget e non a quantità di personale impiegato, come sopra detto, ogni Agenzia tenderà ad impiegare per le proprie attività il minor numero di lavoratori possibile. Quindi il numero di coloro che resteranno in tale "serbatoio" presso il Ministero potrebbe essere piuttosto alto.

Sono evidenti le analogie con il decreto legislativo n° 283/1998 istitutivo dell’ETI. Se si applicasse la stessa percentuale tra numero di occupati prima e dopo la ristrutturazione, questa darebbe per il Ministero delle Finanze un numero di esuberi impressionante.

Nulla fa pensare che i lavoratori dei nuovi Monopoli (Direzione Generale e Ispettorati) - se venisse confermata l’attribuzione delle competenze residue dell’AAMS alle Agenzie con la pubblicazione delle attuali bozze degli Statuti – avranno un trattamento privilegiato rispetto ai colleghi del Ministero.

E’ anche evidente che il carico di lavoro per coloro che resteranno salirà nella stessa proporzione. Il piano di riassetto ETI prevede un aumento di produttività del 400% (si, ci sono due zeri: leggasi quattrocento per cento!) in tre anni. E già negli Ispettorati possono vedersi gli effetti dell’aumento delle attività su un numero di addetti sempre in diminuzione.

Il fantomatico diritto al rientro anche in sovrannumero. L'inesistenza normativa di un limite provinciale alla mobilità. La clausola aggiuntiva siglata dal CSA.

Del diritto al rientro nella Pubblica Amministrazione anche in sovrannumero si è parlato tanto. Ancora oggi si vedono comunicati sindacali che ne affermano l'esistenza. Lo stesso Vicentini, che pure non ha firmato l'accordo proposto dall'ETI, lo ripete spesso nei suoi comunicati.

In verità una norma o un contratto che dica questo non esiste. Si tratta di faziose interpretazioni di parole che - nel contesto nel quale sono inserite - hanno tutt'altro significato. E non si capirebbe neppure - se il sovrannumero ci fosse realmente - il bisogno di ottenere ulteriori garanzie in sede contrattuale: se un lavoratore non lo ottenesse, potrebbe secondo questa ipotesi impugnare gli atti e i provvedimenti a suo danno davanti a un giudice, reclamando l'applicazione della norma di garanzia ed ottenendo l’inserimento nell’ufficio finanziario più vicino a casa sua, indipendentemente dalla disponibilità di posti in organico (questo è il soprannumero!).

In verità gli accordi servono, perché una norma vera non esiste e bisogna ottenere in sede contrattuale (ma dal Governo, e non dall'ETI o dal Ministero delle Finanze, che questo potere non hanno), quelle garanzie che il decreto legislativo 283/1998, istitutivo dell'ETI, non contiene affatto.

Vediamoli bene, quindi, questi testi di legge. E non serve un Solone per interpretarli correttamente.

Decreto legislativo n° 283/1998, art. 4, comma 4:

Il personale trasferito all'Ente e alle società per azioni in cui quest'ultimo viene trasformato a sensi dell'articolo 1, comma 6, che risultasse in esubero a seguito di ristrutturazioni aziendali eventualmente verificatesi anche nei sette anni successivi alla data di trasformazione dell'ente in società per azioni, ha diritto di essere riammesso, su domanda da presentare entro sessanta giorni dalla comunicazione di esubero, nei ruoli dell'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 3, comma 232, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, come modificato dall'articolo 8 del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556, e in quelli di altre pubbliche amministrazioni. A tal fine, all'atto della trasformazione, viene presentato un piano di utilizzazione del personale. La riammissione avviene a seguito di procedure finalizzate alla riqualificazione professionale del personale, attivate ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera s), della legge 15 marzo 1997, n. 59, ferma restando l'appartenenza alle qualifiche ed ai livelli posseduti all'atto della trasformazione. Fino alla definizione delle situazioni giuridiche conseguenti all'esercizio della facoltà di chiedere la riammissione, l'onere economico relativo al personale interessato resta a carico dell'ente o delle società derivate. Al predetto personale vengono riconosciute l'anzianità corrispondente al servizio prestato e la posizione economica che avrebbe conseguito presso l'amministrazione finanziaria se non fosse transitato nell'Ente o nelle società.

 

Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art.3, comma 232:

Ai dipendenti dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato trasferiti (, anche in sovrannumero,) nei ruoli del Ministero delle finanze in conseguenza dell'attuazione del piano di ristrutturazione aziendale, è attribuito un assegno personale non pensionabile e non rivalutabile, pari all'eventuale differenza tra il trattamento accessorio complessivo in godimento all'atto del passaggio ed il trattamento accessorio complessivo spettante nella nuova posizione.

 

Legge 24 ottobre 1996, n. 556, art. 8, comma 3:

Nell'articolo 3, comma 232, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, dopo la parola: "trasferiti" sono inserite le seguenti: ", anche in soprannumero,".

 

Disegno di legge 1822 approvato al Senato il 5/6/1997 (ma insabbiato alla Camera e mai diventato legge), art. 4, comma 4:

Il personale trasferito all'Ente ed alla o alle società per azioni in cui quest'ultimo viene trasformato ai sensi dell'articolo 1, comma 6, che risultasse in esubero a seguito di ristrutturazioni aziendali eventualmente verificatesi nei sette anni successivi alla data di trasformazione dell'Ente in una o più società per azioni, ha diritto di essere riammesso, su domanda da presentare entro sessanta giorni dalla comunicazione di esubero, nei ruoli dell'amministrazione finanziaria, anche in soprannumero, e in quelli di altre pubbliche amministrazioni. Al personale riammesso si applica la disposizione di cui all'articolo 3, comma 232, della legge 28 dicembre 1995, n.549. La riammissione avviene mediante specifici accordi di mobilità, in aree territoriali della stessa provincia o di province limitrofe, e di riqualificazione del personale intercorsi fra l'ente o la o le società derivate, le amministrazioni pubbliche interessate e le organizzazioni sindacali. Fino alla definizione delle situazioni giuridiche conseguenti all'esercizio della facoltà di chiedere la riammissione, l'onere economico relativo al personale interessato resta a carico dell'Ente o della o delle società derivate.

Si può subito notare che le famose parole "anche in sovrannumero" non concretizzano affatto una facoltà o un diritto del lavoratore trasferito a rientrare, bensì servono solamente a definire chi avrà titolo all'assegno personale pari alla differenza tra i trattamenti accessori prima e dopo la cura. Quindi tutti quelli trasferiti nei ruoli delle Finanze avranno titolo all'assegno, sia quelli trasferiti "in numero" che quelli trasferiti "in sovrannumero" (sempre ammesso che ve ne siano).

Manca quindi una vera norma di legge che dia questo diritto ai lavoratori, come quella che era invece contenuta nel disegno di legge 1822, approvato dal Senato ma non dalla Camera e quindi insabbiato. Attenzione: sappiamo che in alcuni posti di lavoro i due testi vengono confusi (per cattiva informazione o malafede? Non sappiamo) al fine di dimostrare l'esistenza del sovrannumero e tranquillizzare i lavoratori.

Lo stesso dicasi per il limite provinciale alla mobilità. Il decreto legislativo n° 80/1998 (pubblicato – guarda caso - proprio il giorno prima del varo da parte del Governo del nostro decreto 283/1998) ha modificato gli articoli 35 e 35bis del decreto legislativo n° 29/1993, i quali ora disciplinano la facoltà delle amministrazioni pubbliche che rilevino eccedenze di personale (e pare che tali determinazioni di eccedenza siano provvedimenti interni, non controllabili dal sindacato) di attivare delle procedure in grado di estromettere i pubblici dipendenti dal ciclo produttivo (anche senza la chiusura di uffici, e con ciò peggiorando la "disponibilità" prevista dal DPR 3/1957!).

Il CSA ha chiesto ed ottenuto la firma di una clausola all’accordo già sottoscritto dalla UIL, il cui testo dice esattamente: "A seguito della richiesta della Organizzazione Sindacale C.S.A./AZIENDE circa il significato del riferimento al decreto legislativo 283/98 contenuto nel primo capoverso di pagina 4 del verbale di accordo, l’Amministrazione esclude la possibilità del ricorso alla procedura prevista dagli artt. 35 e 35 bis del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni in materia di mobilità, procedura che invece avrebbe trovato applicazione in assenza dell’intesa."

Secondo la tesi del CSA questo reintrodurrebbe di fatto il soprannumero per gli esuberi dell’ETI, ma sono possibili anche diverse interpretazioni. Secondo alcuni, il riferimento al punto esatto dell’accordo intenderebbe limitare la validità della clausola alle sole chiusure che impegnano l’ETI descritte nell’accordo medesimo, cioè quelle degli anni 2000 e 2001, il che sarebbe comunque pleonastico, essendo già stata individuata per tali esuberi una ricollocazione, mentre non sarebbe applicabile per gli esuberi successivi, non descritti nell’accordo e sicuramente di più difficile ricollocazione.

Per altri è invece discutibile che l’Amministrazione finanziaria possa decidere di non dare attuazione a una norma di legge che la vede come il soggetto che "deve" procedere all’allontanamento delle eccedenze di personale. In altre parole solo il Governo (o il Parlamento) che ha emanato la norma poteva dettare delle esclusioni.

Il caso merita ulteriori approfondimenti prima di giungere a un giudizio definitivo.

 

L'esempio delle altre ristrutturazioni. Il caso francese: la SEITA. La fusione con la spagnola Tabacalera. Le ondate di ristrutturazione successive agli accordi. L'assenza di valide garanzie normative per gli esuberi ancora da definire.

Spesso Basile e gli altri che hanno parlato a favore della privatizzazione hanno fatto l'esempio delle altre aziende di stato europee del tabacco, la spagnola Tabacalera e, soprattutto, la francese SEITA.

I frequenti richiami avevano ad oggetto la necessità della ristrutturazione e i vantaggi che la struttura societaria avrebbe portato in termini di efficienza ed efficacia dell'azione produttiva e commerciale.

Noi, come lavoratori, dobbiamo mettere l'accento - invece - sulle conseguenze per l'occupazione di questi casi, che - una volta tanto - concordiamo nel definire molto simili alla vicenda della privatizzazione Monopoli.

Anche nella privatizzazione della SEITA vi è stata una lunga vertenza sindacale, con molti articoli sui giornali, episodi clamorosi, che ha visto alla fine l'accordo dei sindacati su una struttura composta da 4 manifatture. Finita la vertenza e placati gli animi con le più ampie rassicurazioni, lo scorso anno un'altra manifattura è stata chiusa. Senza scalpore, senza la possibilità di far ripartire una vertenza unica, con gli opifici posti, di fatto nella competizione tra loro per la maggiore efficienza, la maggiore produttività, sposata completamente la tesi secondo la quale chiude la fabbrica dove i lavoratori si fanno sfruttare di meno.

Più di recente, inoltre sono state avanzate ipotesi di fusione tra la SEITA e la Tabacalera, che, se andranno in porto, significheranno ulteriori ristrutturazioni e chiusure.

E' evidente quindi che -in assenza di valide garanzie legali sul diritto in sovrannumero e sul limite territoriale alla mobilità - accettare un piano di ristrutturazione che non preveda tutte le chiusure e tutti i ricollocamenti espone i lavoratori interessati dalle chiusure e dai ricollocamenti successivi alla mercè delle possibilità del momento e delle volontà altrui.

Inoltre non si può non pensare - e sul piano ETI non ve ne è traccia - alla possibilità tutt'altro che remota (tanto che lo stesso Basile si è sentito in dovere di parlarne davanti al Parlamento) della perdita (anche già alla fine di quest'anno) della produzione su licenza per l'intenzione della Philip Morris di trasferire la produzione già assegnata al Monopolio prima, ed ora all'ETI, in un Paese dell'Est Europeo, probabilmente l'Ungheria. Cosa succederà quindi - ben prima del 2003 - se questo dovesse accadere? E' possibile accettare un piano che non dica niente su questo? E perché l'ETI ha spostato la quota di produzione su licenza della M.T. di Bologna a quelle di Lecce e Chiaravalle? La Philip Morris che otteneva dal Monopolio i macchinari e le maestranze migliori per la propria produzione - oltre alla chiusura di uno e a volte tutte e due gli occhi quando si sarebbe dovuto sospendere la vendita di marchi P.M. (Marlboro) sottratti in grandi quantità ai contrabbandieri - sarà disposta ad aiutare un potenziale (poco) e dichiarato (molto) concorrente commerciale?

E' ovvio che la perdita della produzione su licenza stravolgerebbe le cifre indicate dall'ETI nel suo ipotetico scenario post-ristrutturazione (è infatti bellissima l'eleganza con la quale nell'ipotesi di non intervento, i Monopoli sarebbero condannati a perderla, mentre nell'ipotesi di ristrutturazione ETI la quota su licenza verrebbe mantenuta). I maghi delle simulazioni saranno prontissimi a trovare scuse e a parlare di "eventi esterni", non imputabili all'ETI, quando i conti non torneranno. Ma a noi interessa un'altra cosa. Che fine faranno i lavoratori che si troveranno senza produzione? Questa domanda pretende una risposta chiara.

 

L'ATI, l'ATICARTA, l'ATISALE, l'ATITABACCO, la Filtrati. Il ridimensionamento e la cessione delle attività "non core". L'estensione della vertenza ai lavoratori delle aziende controllate, delle ditte appaltatrici, dei servizi esterni.

Più volte il piano di riassetto ETI afferma che le attività non "core" vanno cedute perché l'ETI possa concentrarsi sul vero "business". L’azienda ATI concentrerà le proprie attività nella produzione. Lo stabilimento dell’ATICARTA di Pompei sembra destinato alla chiusura. I filtri verranno in parte acquistati sul mercato, e in parte prodotti in linea al momento della produzione delle sigarette, rendendo di fatto inutile la Filtrati.

Per la Sede centrale dell'ATI si ripresenterà il problema della Sede Centrale dell'ETI: a seguito del ridimensionamento delle attività e delle strutture coordinate, anche le dotazioni organiche della sede centrale andranno corrispondentemente ridotte. Il piano di riassetto ETI prevede per la sede centrale 89 esuberi nell’anno 2000, su meno di 300 addetti (oltre il 30%).

E per il personale ATI e delle società controllate, non è prevista alcuna garanzia (vera o presunta) per il rientro nella P.A. o comunque per il ricollocamento, per il sostegno al reddito, ecc.

È pericoloso, come fanno alcuni, affermare che la diversità di contratto di lavoro, di azienda, di produzione, limiti naturalmente i confini delle vertenze. Queste divisioni vengono operate ad arte dalla controparte e i lavoratori devono sempre opporvisi. Solo con l’unicità della vertenza questi lavoratori potranno sperare di ottenere le garanzie alle quali hanno pari diritto rispetto ai dipendenti dell’AAMS e dell’ETI.

La gestione del transitorio. Il problema irrisolto delle funzioni superiori. La disapplicazione degli artt. 115 e 116 della L. 312/1980. Il nuovo CCNL del comparto Aziende e le aree. Il finanziamento "interno" della progressione economica. La penalizzazione di coloro che non verranno promossi.

In quasi tutti gli uffici e opifici, sia centrali che periferici, sul presupposto che "ora ci sono questioni più importanti da esaminare", si è assistito a un generale abbandono dell'attività sindacale ordinaria, con il risultato che spesso il dirigente di turno è riuscito a far passare provvedimenti di riorganizzazione, di aumento di mansioni, di utilizzo dei lavoratori in qualifiche o profili diversi (spesso con la scusa ulteriore del blocco delle assunzioni e la promessa della brevità delle nuove attribuzioni, che invece, ahimè, nella maggior parte dei casi sono destinate a diventare definitive) senza alcuna contrattazione, ed anche in palese violazione delle leggi in materia di pubblico impiego, del CCNL vigente, degli accordi sottoscritti in precedenza.

Tra le promesse più diffuse e che maggiormente hanno "funzionato" nei confronti dei dipendenti, quella dell'attribuzione di funzioni superiori. A riprova della "buona fede" del dirigente di turno, spesso vengono esibiti ordini di servizio che dispongono comunque l'immediatezza delle funzioni, e mandano all'ufficio superiore per i provvedimenti economici ("che non dipendono da me", dice spesso il dirigente).

Ebbene, come è facile osservare nell’appendice del nuovo CCNL, quello valido per gli anni 1998-2001 (parte normativa) e 1998-1999 (parte economica), l’art. 115 della Legge 312/1980 (quello utilizzato finora nei Monopoli per le funzioni superiori) è stato disapplicato. Secondo il nuovo CCNL, quindi, non appena (tre mesi) ogni Amministrazione avrà stabilito le modalità attuative della nuova norma, contenuta nell’art. 16 di detto CCNL, l’attribuzione delle mansioni superiori potrà avvenire solo a fronte della mancanza di posto in organico e solo per 6 mesi, rinnovabili una volta solo se sarà stato nel frattempo bandito il concorso per il posto mancante. Quindi tutti coloro che hanno avuto promesse tali funzioni, ma vedono pieno l’organico della qualifica superiore, sappiano che se non otterranno il riconoscimento pieno del loro diritto entro tre mesi (ci è stato comunicato che il nuvo CCNL è entrato in vigore nei giorni scorsi), non lo otterranno più. Potranno però rivolgersi a un legale per ottenere la liquidazione della differenza di retribuzione, avendo cura di citare in solido sia l’Amministrazione che il dirigente responsabile del provvedimento.

A regime, come recita l’art. 54 del nuovo CCNL, "ogni dipendente … è tenuto a svolgere, come previsto dall’art. 56 del d.lgs. 29/1993, tutte le mansioni considerate equivalenti nel livello economico di appartenenza, nonché le attività strumentali e complementari a quelle inerenti lo specifico profilo attribuito". È evidente che la definizione di "attività strumentali e complementari" è piuttosto elastica e può indicare praticamente tutto.

Inoltre coloro che riusciranno ad ottenere la progressione economica su cui tanto si dilunga il CCNL e le cui effettive modalità devono ancora essere determinate, verranno pagati con soldi prelevati dai fondi comuni (art. 65), con l’effetto di togliere retribuzione a coloro che non saranno invece promossi.

La disposizione è in linea con la tendenza generale a togliere elementi di retribuzione fissa a favore di quelli variabili, da barattare ogni volta con maggiore flessibilità, il raggiungimento di obiettivi, la piena accondiscendenza con il dirigente cui viene riservata ampia discrezionalità nella scelta di coloro che devono essere promossi.