All’Ing.
Alessandro Scatolini
Membro della
RSU dell’AAMS /ETI s.pa.
L’art. 4
comma 3, del predetto Decreto Legislativo regola anche l’ipotesi opposta a
quella indicata al punto 1, ovvero la disciplina contrattuale applicabile ai
dipendenti trasferiti all’ETI o alle società per azioni in assenza del nuovo
CCNL.
In
proposito c’è da dire che generalmente la scadenza del termine apposto dalle
parti stipulanti, in assenza di patto contrario, determina la perdita di
efficacia delle clausole del contratto collettivo, che, per consolidato
orientamento giurisprudenziale, può ritenersi ultrattivo solo in relazione agli
istituti retributivi. Al contrario l’art. 4 comma 3, come detto, precisa che il
trattamento giuridico ed economico definito sulla base del precedente assetto giuridico
dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato continua ad applicarsi ai
dipendenti dell’Ente Tabacchi Italiani e delle s.p.a. fino al momento alla stipulazione del primo contratto
collettivo di lavoro. Ciò vuol dire che l’eventuale vacanza contrattuale non
potrà giammai tornare a detrimento dei dipendenti trasferiti nella nuova
società Eti, ai quali, per espressa previsione legislativa, deve integralmente
riconoscersi quanto attribuito loro dalla disciplina contenuta nel CCNL
attualmente in vigore e, in caso di rinnovo dello stesso, la disciplina
contenuta nel nuovo CCNL pubblico (ovvero il nuovo CCNL delle Aziende
Autonome).
Una
giurisprudenza, sicuramente non condivisibile ma ormai prevalente, ammette che
il contratto collettivo successivo possa modificare in senso peggiorativo
quello precedente. Tale possibilità è invece espressamente esclusa dal d. lgs.
283/98, il cui art. 4 comma 8 precisa che in
sede di prima applicazione non può essere attribuito al personale in servizio
un trattamento giuridico ed economico meno favorevole di quello ad esso
spettante alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Preliminarmente
si vuole precisare che con l’espressione “in
sede di prima applicazione” il Legislatore ha inteso riferirsi a tutta la
durata programmata del nuovo contratto collettivo (contratto ETI), escludendo con ciò ogni interpretazione
diretta a circoscrivere l’operatività del principio della parità ad un periodo
inferiore.
La
norma dunque espressamente deroga ai tradizionali principi in materia di
successione di contratti collettivi nel tempo. Da ciò consegue che se il
prossimo accordo sindacale contenesse clausole meno favorevoli rispetto a
quelle del contratto collettivo del comparto Aziende autonome, ciascun
lavoratore (anche se iscritto ad uno dei sindacati stipulanti) è legittimato ad impugnarlo per violazione di
legge e per vedersi attribuito il trattamento di miglior favore.
Ben
si comprende, allora, come sia essenziale valutare quando il successivo
contratto possa essere definito peggiorativo rispetto al primo, atteso che
spesso, in sede di rinnovo, gli istituti variano in senso divergente l’uno
rispetto all’altro.
Prima
di affrontare un problema tanto delicato e gravido di conseguenze per i
lavoratori, giova premettere che il principio della parità di trattamento non
esclude che il successivo contratto collettivo contenga clausole più favorevoli
rispetto al precedente. La comparazione, in secondo luogo, riguarderà non solo
la retribuzione ma ogni profilo giuridico ed in particolare, a titolo
esemplificativo, l’orario di lavoro, le ferie, il periodo di prova, la
sospensione del rapporto per malattia, maternità o infortunio, le aspettative,
la sicurezza, la formazione, i diritti sindacali ecc.
Ad
ogni modo, in relazione al significato da attribuire all’art. 4 co.8 del
D.283/98, sono possibili diverse soluzioni. Secondo un primo orientamento il
confronto deve riguardare i trattamenti complessivi previsti da ciascuna delle
due fonti, di modo che l’individuazione della disciplina contrattuale più o
meno favorevole risulti da un
apprezzamento globale o, per meglio dire, sintetico anziché analitico. Per altri,
al contrario, è necessario prendere in considerazione le singole clausole e
applicare quella che di volta in volta risulti vantaggiosa per il lavoratore.
L’indirizzo
giurisprudenziale prevalente, al quale, peraltro, si ritiene di dover
aderire, sembra invece propendere per
una comparazione che prenda in considerazione ciascun istituto omogeneo
nell’ambito delle discipline concorrenti. Dunque, bisognerà valutare se
all’interno di un complesso di clausole unificate dal punto di vista della
materia (ad esempio la malattia) il lavoratore possa dirsi svantaggiato
rispetto alla situazione precedente.
Roma 21.9.2001